Il Jazz di Giovanni Mazzarino narrato dal cinema di Gianni Di Capua.
"Piani Parallelli", il film di Gianni Di Capua che racconta la nuova "Opera Jazz" di Giovanni Mazzarino. Dal 7 aprile 2017 al Cinema, con prima assoluta al Farnese di Roma. Una produzione Bliq film in associazione con Jazzy Records e Kublai Film e il sostegno della Friuli Venezia Giulia Film Commission.
Con: Giovanni Mazzarino (composizioni, pianoforte) Steve Swallow (basso elettrico) Adam Nussbaum (batteria) Fabrizio Bosso (tromba e flicorno) Paolo Silvestri (arrangiamenti e direzione d’Orchestra) l'Accademia d’Archi Arrigoni Stefano Amerio (Sound Engeneer).
“Piani Paralleli”: un progetto multimediale (oltre al film, un CD album e i concerti live) dedicato ai 30 anni di carriera e ai 50 anni di età di Giovanni Mazzarino, una delle personalità di spicco del panorama jazz europeo. Il racconto emozionante per musica e immagini diretto dal regista Gianni Di Capua, di come è nata la nuova opera Jazz “Piani Paralleli”, suite di composizioni originali scritta per quartetto Jazz e orchestra d’archi.
In 86 minuti il film racconta le cinque intense giornate di registrazione nella Fazioli Concert Hall, adiacente alla fabbrica dei pianoforti Fazioli a Sacile in provincia di Pordenone, insieme agli straordinari compagni di viaggio che Mazzarino ha fortemente voluto con sé e con cui ha già lungamente collaborato nel corso della sua carriera: il contrabbassista e compositore statunitense Steve Swallow, il batterista Adam Nussbaum, il trombettista Fabrizio Bosso e Paolo Silvestri, cui il compositore ha affidato l’arrangiamento e la direzione dell’Accademia D’Archi Arrigoni, orchestra da camera del Friuli, terra d’origine anche del sound engeneer Stefano Amerio, presenza ricorrente nelle produzioni Jazzy Records. Il regista Gianni Di Capua da tempo frequenta con la sua macchina da presa gli ambienti della musica contemporanea, raccontandoli con grande classe, passione e rigore di musicologo. Nel film, le sessioni di prove e la registrazione live dell’opera: l’approccio dei musicisti con la scrittura e la personalità di Mazzarino, le conversazioni, l’amicizia, le paure, la consapevolezza di un momento unico e straordinario, la trasformazione delle partiture in materia sonora viva e vibrante. Ed infine, il concerto a porte chiuse, ripreso circolarmente con tre telecamere disposte intorno ai musicisti nel buio ovattato e denso di creatività della Concert Hall, scelta narrativa che ha conferito estrema spettacolarità alle immagini, in quanto lo spettatore viene trasportato, attraverso lunghi piani sequenza, proprio al centro della scena, al fianco dei musicisti, in un’avvincente condivisione di musica ed emozioni. Leitmotiv del film, i pensieri più profondi di Mazzarino sulla sua estetica musicale. Piani Paralleli è un inno alla bellezza e all’armonia, espressione di un musicista che nell’ attraversare tre decenni di Jazz ha fatto sintesi delle sue esperienze artistiche e di vita con una Suite dal forte tratto melodico, che trascende classificazioni ed etichette. Giovanni Mazzarino: “In Piani Paralleli convivono tante estetiche. E' la summa delle mie esplorazioni musicali e dei miei ascolti, dopo tanti anni di viaggi sonori: dal barocco al romanticismo, da Bach al Bebop, dal Musical di Broadway alla musica sudamericana d'autore, dalla musica folk e popolare del Mediterraneo alla musica contemporanea, dai Beatles a Domenico Modugno, dai Pink Floyd all'Opera Lirica.” Il Film concerto “Piani Paralleli” è una produzione Bliq Film Production, in associazione con Jazzy Records e Kublai Film, e con il contributo della Film Commission del Friuli Venezia Giulia. Partner del progetto: Fazioli Pianoforti, Gramazio adv e Cantine Felluga.
Foto di scena di Massimo Di Capua
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LEGGI IL SAGGIO DI ROBERTO CALABRETTO* "PIANI PARALLELI: un film concerto di GIANNI DI CAPUA
Nel motivare le scelte adottate per filmare una performance concertistica, Jean-Pierre Ponnelle, regista che più volte si è confrontato con simili situazioni, ha detto: «Quel che è dinamica nella musica, lo rivedo nel cinema nelle carrellate, nei movimenti di macchina, nelle zoomate e così via. Le armonie della musica, il verticale, li trovo nel cinema nelle analogie cromatiche, nelle possibilità d’inquadratura dalla panoramica al primo piano. Ai ritmi musicali corrisponde il montaggio, che va effettuato esattamente secondo la partitura». Queste parole stanno a sottolineare come filmare la musica significhi offrire una sua interpretazione. Cogliere un evento concertistico con la macchina da presa comporta una particolare lettura della performance e, talvolta, la messa in atto di equivalenze fra il linguaggio delle immagini e quello dei suoni. La macchina da presa, pertanto, dev’essere sempre in grado di interagire creativamente con l’evento concertistico, come suggerisce Dany Bloch che ha sottolineato come sia maggiormente interessante quell’uso in cui «la troupe dei videocameramen risulta essere un partner privilegiato dell’artista protagonista della performance». Facendo riferimento alla nota classificazione degli impieghi del video, potremmo definire due tipologie: «nella prima [“video caldo”] l’artista ha un rapporto diretto con lo strumento, che usa per scopi creativi; nella seconda [“video freddo”] l’artista ha un rapporto mediato con lo strumento, che viene usato da altri sulla sua opera creativa e con finalità prevalentemente documentative o didattiche», come ben ricorda Angela Madesani. Queste parole sono senza dubbio la miglior premessa per avvicinarsi alla produzione di Gianni Di Capua che, nel corso della propria esperienza, più volte si è confrontato con la musica giungendo a risultati di primissimo piano con le opere del catalogo di Luigi Nono e con allestimenti estremamente complessi, come Medea di Adriano Guarnieri o il recente Zoroastro di Jean-Philippe Rameau. Le operazioni di Di Capua hanno sempre trovato un largo consenso per la fedeltà con cui si sono avvicinate al testo musicale, assunto senza libere interpolazioni ma piuttosto adeguando gli strumenti del linguaggio visivo alle esigenze della musica. Al contrario di coloro che hanno lavorato per accumulazione, rendendo spesso insopportabile l’ascolto-visione di un’opera, Di Capua invece opera per sottrazione, consapevole che la musica debba giungere ugualmente al destinatario senza alcuna sovrabbondanza di elementi visivi. La sua distanza dagli abituali strumenti della comunicazione televisiva cui il pubblico è assuefatto è abissale. In lui vi è radicata la consapevolezza che le potenzialità di una performance musicale nel corso del tempo siano state sempre più svilite e mortificate da scelte molto dozzinali e banali da parte del linguaggio televisivo che «frantuma, decostruisce, falsifica e ripristina significati. Occorre pertanto essere consapevoli dei suoi meccanismi perversi nei quali assistiamo ad una smaterializzazione della realtà e dove l’attenzione dell’uomo viene distolta dal mondo naturale per concentrarsi sul mondo della comunicazione che risulta essere un valore assoluto». La televisione, per dirla con Baudrillard, è «il medium più corruttivo della rappresentazione del mondo e del quale viviamo una sua simulazione». Questa voluta presa di distanza si manifesta in ben precise scelte stilistiche che caratterizzano la poetica di Di Capua che, anche in PianiParalleli, fa costantemente uso del piano sequenza che, al contrario, la sintassi televisiva ha totalmente estromesso dal proprio linguaggio. Egli, invece, detesta quando una ripresa televisiva fa lo “spezzatino” di una frase musicale alternandone la visione dell’esecuzione da più punti di vista e scadendo inevitabilmente nel didascalico. La televisione perpetra un modello oramai assimilato dal pubblico che invece si rivela essere l’affermazione di un puro e semplice dilettantismo che non ha alcuna ragione musicale. Ecco perché Di Capua cerca costantemente di mantenere intatte alcune coordinate compositive che, nella musica Jazz, diventano apicali nei cosiddetti assolo. Veri virtuosismi “drammatici” che definiscono il brano evidenziando la personalità di ciascun musicista, come Giovanni Mazzarino racconta nel corso del film, riferendosi a ciascuno dei musicisti coinvolti nella registrazione della Suite da lui composta. Basti pensare agli assoli della tromba, “tenuti” in piano sequenza ravvicinato che hanno comportato un allestimento del set molto particolare. In questo caso, infatti, i binari su cui era stata stata fatta collocare la camera erano predisposti in modo da consentire alla camera principale di “narrare” quanto veniva eseguito, assecondando un ben preciso topos del linguaggio cinematografico di Di Capua. Come accade nel recente Zoroastro, anche in questo caso il regista non si preoccupa di “camuffare” il set ma, al contrario, di evidenziarlo. Filmare una performance jazz, come si può ben vedere, impone delle ben precise scelte stilistiche che lo stesso Di Capua riassume in una frase, efficace quanto suggestiva, che ben riassume l’idea che sta alla base di PianiParalleli. «Se il racconto cinematografico è la narrativa popolare per eccellenza, in musica lo è Jazz», ha detto il regista nel motivare le proprie scelte. Nella ripresa della musica Jazz, contrariamente alla musica classica, la lettura attenta della partitura è relativa: occorre invece cogliere nei momenti degli assoli il senso del racconto musicale oppure, se vogliamo, il momento topico del brano musicale. Il film di Di Capua vuole offrire allo sguardo dello spettatore non il dettaglio ma una narrazione che, lungi dal sostituire la ripresa alla sala da concerto, diventa invece un momento “altro” della ricezione del testo musicale. Piani Paralleli potrebbe essere definito come un film claustrofobico, come lo è del resto la condizione della musica prodotta in una sala di registrazione. Se questi sono i luoghi, gli spazi della musica risiedono invece nel suo ascolto. Una scelta apparentemente semplice, naturale, che però sul piano della sua realizzazione comporta un notevole dispendio di risorse in termini di allestimento del set cinematografico. Ecco perché nella Fazioli Concert Hall di Sacile è stato disposto un binario che, nell’idea originale, avrebbe dovuto abbracciare tutto il perimetro dello spazio musicale, dove si trovava l’orchestra e il quartetto, senza soluzione di continuità con una sola cinepresa. Purtroppo le dimensioni della scena della Concert Hall e l’ingombro non hanno potuto rendere possibile l’idea, per cui sono stati predisposti tre percorsi di binari con tre carrelli con ciascuno montata una cinepresa. In fase di ripresa è stato poi simulato un “continuum”, ossia un movimento di camera sempre in azione e, senza soluzione di continuità, laddove si esauriva il percorso di una cinepresa definito dalla lunghezza del binario ne subentrava una seconda e poi una terza, al fine di proseguire la “narrazione”. Non bisogna dimenticare che la cinepresa per sua natura tende ad escludere: inquadrare un soggetto significa soprattutto scegliere cosa non mostrare o, perlomeno, essere consapevoli di questo aspetto incontrovertibile che nel genere fiction, invece, è ribaltato. Qui, infatti, nello spazio dell’inquadratura il regista compone il proprio racconto visivo mentre nel documentario è costretto ad escludere, ossia ad operare una scelta in subordine al racconto della realtà che, in ultima analisi, costituisce una sintesi elaborata dal regista. Ecco perché la televisione si rivela uno strumento inadeguato a mostrare performance musicali, tanto più quelle dal vivo, contrariamente al cinema che si pone di segno diametralmente opposto a partire dal luogo preposto alla sua “rappresentazione” in cui la dimensione dello spazio si può realizzare in tutta la sua complessità. In Piani Paralleli Giovanni Mazzarino s’intrattiene, quasi fosse un dialogo intimo, con la propria musica e con i musicisti chiamati ad interpretala. Musicisti dalle caratteristiche peculiari che apportano sensibilità e opportunità di confronto che la cinepresa documenta affiancando il processo creativo musicale rivelando, infine, un’opera composita, impregnata dalle suggestioni provenienti dalla terra di origine dell’eclettico compositore, forgiata dalle tradizioni musicali più disparate. La voce fuori campo che rapsodicamente intercala il film porta il compositore ad intrattenersi in un dialogo intimo con la propria musica che, parallelamente, sta per essere allestita in un serrato confronto tra ingegneri del suono e i musicisti convocati ad interpretarne il pensiero. La sua musica scorre naturalmente sul movimento del piano sequenza portando a una messa in atto di equivalenze fra il linguaggio delle immagini e quello dei suoni dove l’ultima nota in chiusura del film, eseguita dall’insieme strumentale ora immobile, riverbera nel chiaroscuro della Fazioli Concert Hall evocando un tempo sospeso che il cinema consegna, perché ne ha la prerogativa, al suo essere di nuovo, epifania dell’istante, anima del Jazz. La cinepresa transita d’incanto all’esterno e inizia ad intraprendere un viaggio nella luce del crepuscolo lungo un cammino senza fine. Ancora una volta il cinema si offre come un rito collettivo.
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- *ROBERTO CALABRETTO è professore associato di discipline musicali all'Università degli Studi di Udine. I suoi studi affrontano le problematiche inerenti alle funzioni della musica nei linguaggi audiovisivi con una particolare attenzione nei confronti di quella cinematografica. Ha anche svolto attività di ricerca sul Novecento italiano alla Fondazione "Giorgio Cini" di Venezia e sulla musica friulana. È membro del Collegio Docenti del Dottorato di Ricerca in Teoria, tecnica e restauro del cinema, della musica e dell'audiovisivo e del Consiglio del Master in Ideazione, allestimento e conservazione delle arti visive contemporanee dell'Università degli Studi di Udine. Fa parte del Comitato scientifico di Cinemazero di Pordenone e coordina il progetto Restauro delle colonne sonore su disco in collaborazione con la Cineteca di Bologna. Fa parte della Commissione giudicatrice del Premio per tesi di laurea promosso dal Festival organistico internazionale Città di Treviso. Lavora come critico musicale per il Teatro Giovanni da Udine e la Società dei Concerti della Scuola Normale di Pisa.
IL MANIFESTO E LA LOCANDINA
PIANIPARALLELI FILM TOUR Dal 7 Aprile 2017 al cinema